La canapa
Nella pianura reggiana la canapa è sempre stata una coltivazione secondaria, finalizzata esclusivamente a soddisfare l’esigenza di produrre per la famiglia e all’interno di essa indumenti, lenzuola, teli, corde e sacchi. La canapa veniva seminata in aprile e raccolta in agosto. Una volta raccolta e divisa in mannelle di steli della stessa lunghezza (manèli) veniva messa a macerare. La macerazione avveniva in apposite buche d’acqua (méser). Le mannelle venivano legate in fasci che uniti e sovrapposti a formare zattere venivano affondati nell’acqua mediante grosse pietre.
La macerazione durava otto giorni, dopo di che le zattere venivano estratte, scomposte e lavate nella stessa buca dove era avvenuta la macerazione. La lavatura fatta in acqua pulita avrebbe rovinato la fibra che sarebbe rimasta verdognola (scudrégna) anziché bianca. Lavate e asciugate al sole le mannelle erano pronte per la scavezzatura: una donna metteva la mannella nella gramola (gramla) e due uomini rompevano i canapuli (canavói) con speciali bastoni scotole (spadlòun). Si ripassava poi più volte la fibra sotto la gramola per pulirla bene, dopo di chè era pronta per essere cardata. La cardatura era fatta dai cardai (cunsèin) con speciali pettini di ferro (spinasòun e spinasèin) che rompevano la fibra nella misura voluta e dividevano le fibre scadenti dalle migliori.
Si ottenevano così varie qualità di canapa: 1° scelta (carzol), 2° scelta (bertunsèin), 3° scelta (tôs) infine la stoppa (stòpa) utilizzata sia per fabbricare funi che pagliericci (pajàss).
La fibra a questo punto era pronta per essere filata.
Lavatura della canapa dopo la macerazione. AFM718
Trasporto delle balle di fibra dopo la gramolatura, foto Cav. Orlandini. AFM385
La filatura e la tessitura
Il lavoro di filatura era svolto dalle donne che la sera, da ottobre a maggio, nella stalla, l’ambiente più caldo della casa, preparavano il filo che sarebbe servito a confezionare la biancheria per la casa, gli indumenti da lavoro, i sacchi per il grano ecc. Durante queste riunioni (filòss) intorno a rocche e filatoi gli anziani raccontavano storie e leggende ai bambini e i giovanotti, corteggiavano le ragazze. La filatura, cioè la riduzione della fibra in filo, avveniva tramite la rocca e il fuso (ròca e fús); più tardi vennero introdotti i filatoi (filarèin), ma per molte famiglie questi rappresentavano già un lusso. Le matasse di filo, avvolte con l’aspo (aspa), venivano sbiancate con cenere e acqua bollente, quindi trasformate in gomitoli con l’arcolaio (guéndel). La tessitura, cioè l’intreccio di una serie di fili paralleli (ordito) con un filo continuo (trama) era fatta con il telaio (tler).
Si preparava prima sull’orditoio (urdidor) l’ordito, cioè tanti fili paralleli misurati a braccia (bràs) e avvolti nel subbio posteriore dei telaio e passati uno per uno nei licci (léss) e nel pettine. A gruppi di venti erano poi annodati alla frangia di un pezzo di tela già iniziato (cminsipiadora) che veniva fissato al subbio anteriore. I licci, azionati da due pedali, sollevavano i fili dell’ordito, alternativamente, mentre fra questi passava la navetta (nasvèla) stendendo la trama. Poiché i fili di canapa non erano scorrevoli, l’orditura doveva essere trattata con una viscosa polenta di farina di mais e cruschello (bósma) che si spalmava con una mano sulla tela e si stendeva con una spazzola (busmarola). La tela prodotta era di nuovo sbiancata con la cenere, esposta al sole e alla rugiada per 20 giorni, poi di nuovo lavata e conservata in rotoli (mursèll) per essere confezionata. All’inizio del 1900 si era diffusa l’usanza di intrecciare trame di canapa con orditi di cotone, molto più scorrevole.
Filatura con arcolaio e una grossa ruota. AFM2748
Filatura con rocca e filarino ad alette e pedale, foto di Paul Scheuermeier
Intervista a Alma Govi
tratta da “Il Museo dell’Agricoltura e del Mondo Rurale. Testimonianze di vita e cultura del mondo agricolo reggiano dalla metà del secolo scorso alla meccanizzazione agricola”, un film di Mario Turci, prodotto da Fausto Montanari